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Liberalizzare le droghe significa diminuirne il consumo?

1) Domanda: Chi è a favore della legalizzazione non è necessariamente a favore del consumo, anzi. Generalmente constata solo che il proibizionismo ha fallito come scelta politica per far diminuire i consumi. Infatti i dati dimostrano un costante aumento. Perciò la liberalizzazione, regolamentata in modo intelligente, potrebbe rappresentare un tentativo di far diminuire i consumi, o quanto meno di regolarli. Diego

Risposta: Negli interventi di Laura Bellodi e di Rosario Sorrentino presenti nell’articolo pubblicato sul sito alcune settimane fa ( Cannabis ndr) c’è la risposta a questo più che comprensibili affermazioni. Legalizzare le droghe che non sono affatto “leggere” non ne farebbe sicuramente ridurre il consumo, come dimostra l’esperienza olandese. Portare avanti la proposta, come qualche politico fa, di vendere la cannabis nelle farmacie al solo fine di risanare il deficit della sanità regionale è quanto meno aberrante. Certo le centinaia di migliaia di euro che lo stato incasserebbe dalla liberalizzazione “controllata” verrebbero sottratte alla criminalità che di certo però non rimarrebbe con le mani in mano e si industrierebbe nell’inventare nuove droghe, magari a prezzi competitivi rispetto a quello dello stato. Ma può uno stato legalizzare una droga e quindi lucrare su di una sostanza scientificamente considerata dannosa per l’organismo? Sui pacchetti di sigarette, monopolio dello stato, c’è scritto “attenzione nuoce gravemente alla salute, il tabacco uccide” questo salva la nostra coscienza collettiva?

2)Domanda: La scienza dice anche che l'alcol ha effetti devastanti per il cervello, il fegato e molti altri organi del corpo umano. Inoltre, dati alla mano, l'alcol (che crea forte dipendenza) con le cause ad esso relative è responsabile della morte di circa 20.000 persone l'anno (se non erro terza causa di morte assoluta in italia). Tutte le droghe insieme e cause ad essere relative, arrivano circa a 5.000 morti. Tra esse, nessuna (e nella storia si contano sulla punta della mano) è causata dalla Cannabis. Quindi i proibizionisti dovrebbero perlomeno prendere in considerazione che prima della Cannabis, sarebbe l'alcol a dover essere di gran lunga proibito. Eppure nessuno si muove in questo senso. Pare piuttosto schizofrenico come ragionamento: proibiamo una sostanza molto diffusa, che non ha (quasi) mai causato morti, promuoviamo, pubblicizziamo, sosteniamo una sostanza molto diffusa che ne causa 20.000 all'anno.
Secondo:
Legalizzare la cannabis come hanno fatto in Uruguay è un atto concreto alla lotta alle mafie di ogni genere...l'alcool può fare altrettanti danni se non peggio...io sarei per una legalizzazione ad uso terapeutico visto che ormai è dimostrato scientificamente che è un vero farmaco...la morfina è un derivato dell'oppio o no? L'alcool e il fumo ormai fanno parte della nostra quotidianità e nostra cultura…la cannabis no…io metterei un uso personale sotto la quale soglia non è perseguibili...io da farmacista...vedo che fà più danni l'alcool o altre droghe...e ormai più che alla cannabis di per se c'è da stare attenti da dove viene...se hanno alti contenuti di THC sono botte al cervello...se fossero in coffee shop legalizzati si avrebbe una certezza d'uso…tanto chi si vuole fare le canne se le fa lo stesso.... Vitor

Risposta: Rispondo alle due interessanti osservazioni, strettamente collegate tra loro.
Per prima cosa permettetemi di dire che i numeri delle vittime di questa moderna strage sono comunque impressionanti, sia quelli riferiti alle droghe sia quelli riferiti all’alcool. Per questa seconda sostanza sono certo che il numero dei decessi attribuibili al suo uso ed abuso sia maggiore e che ad esso vadano aggiunti i costi sociali per ricovero, le malattie croniche, gli incidenti stradali provocati da individui in stato di ebbrezza, gli incidenti sul lavoro, gli episodi di violenza ed aggressività con le ben comprensibili ripercussioni sulla vita personale e familiare. 
E’ interessante leggere i dati pubblicati dal National Drug and Alcohol Research Centre dell’Università del New South Wales di Sydney, sulla rivista Lancet: circa 200 milioni di persone nel mondo, da un minimo di 149 ed un massimo di 271 milioni, fanno uso di droghe. Questo vuol dire che 1 persona su 20, nella fascia di età compresa tra i 15 ed i 64 anni consuma sostanze tossiche. Le droghe considerate nell’indagine sono gli oppioidi, le amfetamine e la cocaina, ma non l’alcool ed il tabacco. Nello specifico dell’indagine, emerge che 125-203 milioni di persone nel mondo usano la cannabis, 14-56 milioni le amfetamine, 14-21 milioni la cocaina e 12-21 milioni gli oppioidi. 
Rimane estremamente alto il numero di morti per droga, circa 250.000 ogni anno, contro le 2,25 milioni di vittime per l’alcool e i 5,1 milioni di morti per il tabacco.
Visti così questi numeri, i morti per droga sono “appena” un decimo di quelli da abuso di alcool. Perché allora l’alcool è legale e le droghe cosiddette leggere non lo sono?
Per rispondere bisogna tener conto degli aspetti storici, culturali, sociologici ed economici legati al suo consumo di bevande alcoliche. Diciamolo chiaramente siamo tra i maggiori produttori ed esportatori al mondo di vino, il giro di affari è enorme e dobbiamo altresì ammettere che oggi è una delle poche industrie italiane che funziona. E poi c’è la tradizione popolare tramandata nei secoli che attribuisce all’alcool capacità stimolanti , energetiche e socializzanti, sollecitate dalla pubblicità che ovviamente trascura i danni diretti ed indiretti dell’alcool. Le droghe “leggere” che ripeto tali non sono dal momento che ne conosciamo gli effetti sul sistema nervoso centrale, soprattutto quando viene assunta in adolescenza, sono illegali ed il loro spaccio è punito, con modalità diverse, come quello delle droghe “pesanti”. 
Vendere alcolici non è vietato. 
Quindi alcool e cannabis sono sullo stesso livello? In realtà, se restiamo sul terreno dell’obiettività, sappiamo dalla letteratura scientifica che l’alcool, assunto saltuariamente , in piccole quantità, a stomaco pieno e ponendo attenzione alla capacità individuale di metabolizzarlo, non solo non è dannoso, ma può avere effetti benefici ad esempio sul sistema cardiovascolare. Non esiste un solo lavoro scientifico che dimostri che le droghe leggere, indipendentemente dalla quantità assunta, facciano bene. La ricerca scientifica ha dimostrato invero l’efficacia della marijuana nel trattare i sintomi di alcune malattie quali la sclerosi multipla, l’emicrania, gli spasmi muscolari ed altre, ma stiamo parlando di malattie per curare le quali si prescrivono farmaci. Che cosa è un farmaco? Qualsiasi sostanza, inorganica o organica, naturale o sintetica, capace di produrre in un organismo vivente modificazioni funzionali, utili o dannose, mediante un’azione chimica, fisico-chimica o fisica (è termine più ampio di medicamento, riservato, questo, ai soli farmaci diretti a ricondurre alla norma una funzione patologicamente alterata o a favorire i processi riparativi di una lesione).Dunque se la marijuana è un farmaco deve essere prescritto a chi è malato e non può, proprio per le sue peculiari caratteristiche, essere considerata una sostanza innocua, che tutti, adolescenti in primo luogo, possono assumere senza rischi per la loro salute. 
Ed è soprattutto agli adolescenti che dovremmo pensare con maggiore sensibilità, tanti ragazzi fumano spinelli inconsapevoli degli effetti negativi, troppi ragazzi bevono quantità eccessive di alcolici, birra, vino, superalcolici ed alcolpop, bevande alcoliche a tutti gli effetti per il loro contenuto di alcol etilico ma spacciate, è il caso di dirlo, come succhi di frutta. 


3) Domanda : Dottore ho trovato questo articolo e mi sono terribilmente impressionata. Secondo questo medico gli psicofarmaci sarebbero veramente dannosi. Io li sto assumendo per curare il disturbo di panico, cosa devo fare? K.
Articolo: http://www.ccdu.org/comunicati/psicofarmaci-inferno-personale

Risposta. Ci risiamo, ancora un articolo contro gli psicofarmaci. Non credo esista classe di farmaci più vituperata e tanto chiacchierata, spesso a sproposito, come questa. Questa volta a scriverlo non è lo psicoterapeuta di turno o il naturopata ma il tutto nasce dalla mente di un chimico “pluripremiato”. L’autore è un certo Shane Ellison, una sorta di chimico “pentito” che dopo avere lavorato anni per una multinazionale del farmaco ed aver fatto “alcune sorprendenti scoperte sugli psicofarmaci”, è oggi a capo di una società, la People Chemist, che vende prodotti, in pratica multi vitamine, creati in laboratorio, in grado di curare, come è possibile leggere sul suo sito, tutte le malattie dell’uomo. 
Forse troppo preso dagli addominali della moglie il nostro chimico inanella una serie di inesattezze, utilizza frasi ad effetto allo scopo di terrorizzare il lettore e, cosa ancora più grave, maschera il tutto sotto una facciata di scientificità. Vediamole alcune di queste “verità”: niente nel corpo è selettivo (cosa significa?), chi usa gli antidepressivi non trova la felicità anzi diventa cattivo e violento. E a proposito degli antipsicotici Shane ne denuncia la prescrizione nei “cosiddetti schizofrenici” (perché cosiddetti?), affermando che impediscono le normali funzioni cerebrali. Ma è “normale” l’ideazione di un paziente affetto da una psicosi? In ultimo ci sono gli ansiolitici, una mazza di legno che si abbatte sul cervello e che hanno come unico effetto quello di metterti a dormire. Ma è al corrente Shane che la prescrizione degli ansiolitici non è specificamente quella dei sonniferi e che nei disturbi del sonno si utilizzano da anni prevalentemente molecole non benzodiazepiniche? 
Una cosa mi sembra chiara; Shane non ha mai parlato e forse neanche visto un malato di depressione, di disturbo d’ansia o di attacchi di panico o uno psicotico. Perché quello che il chimico ignora è che stiamo parlando di malattie, e non di modi diversi di vivere la realtà, malattie che colpiscono il sistema nervoso centrale, come la ricerca scientifica, quella vera, ha dimostrato attraverso studi di genetica e di neuroradiologia e neuro-biochimica.
Ed allora, essendo malattie, vanno curate con i farmaci al pari dell’ipertensione arteriosa o del diabete, se si vuole restituire dignità ed una qualità della vita migliore a chi purtroppo ne soffre. Gli psicofarmaci sono per principio cattivi, fanno male perché hanno una marea di effetti collaterali, ti rendono dipendente e perciò vanno demonizzati. 
Perché però ad esempio, non si parla dell’abuso degli antidolorifici nel trattamento della cefalea, responsabile di una forma di mal di testa classificata, non molti anni fa, come “cefalea da abuso di analgesici”? (le linee guida internazionali definiscono abuso l’assunzione di più di 10 analgesici al giorno). E come mai molti di questi farmaci sono considerati da banco ed addirittura pubblicizzati sui media? Provate a leggere il bugiardino dell’aspirina o dei farmaci per abbassare il livello del colesterolo nel sangue, oggi tanto di moda. Vi assicuro che i danni derivanti dal cattivo uso di questi farmaci non è inferiore a quello degli psicofarmaci, eppure nessuno li demonizza.
Da neuroscienziato so perfettamente che gli psicofarmaci (forse se gli cambiassimo nome farebbero meno paura) hanno effetti collaterali, alcuni anche rilevati, ma questo, è indubbio, vale per tutti i farmaci “veri” quelli cioè realmente efficaci. 
Come si arriva alla prescrizione corretta di uno psicofarmaco? Il primo passo è la diagnosi che il medico esperto, neurologo o psichiatra, formula sulla base della valutazione clinica, della storia del paziente perché è fondamentale che il medico conosca la persona che ha davanti. La prescrizione del farmaco è il passo successivo, prescrizione che deve essere sempre “individualizzata” ed accompagnata dalla informazione corretta sulle modalità di assunzione, i benefici attesi e la presenza di effetti collaterali. Non è vero che gli psicofarmaci danno dipendenza se prescritti ed assunti correttamente, per il giusto periodo di tempo e scalati, al termine, gradualmente, si comportano non diversamente da tanti altri farmaci in commercio. Quello che un medico specialista ha l’obbligo di fare è contrastare l’abuso degli psicofarmaci, l’utilizzo di dosaggi spesso troppo elevati e per periodi lunghissimi la prescrizione “facile” per disturbi sovente legati a situazioni esistenziali, problematiche di natura familiare che possono avere soluzioni diverse, ma anche il “fai da te” e la cattiva informazione che arriva da molti siti internet o da santoni mascherati da esperti.
Un esempio negativo, l’unico che parzialmente mi trova d’accordo con Shane, è quello del Ritalin, farmaco prescritto per la sindrome da inattenzione ed iperattività del bambino spesso, soprattutto negli Stati Uniti, in modo non corretto, ad alti dosaggi e perciò “abusato”, ma che usato da esperti preparati e limitatamente a casi clinici realmente accertati, è in grado di apportare significativi benefici. 
Alla fine resta da risolvere una questione; come pensa Shane di aiutare chi soffre di ansia o di depressione vista l’impossibilità di utilizzare gli psicofarmaci? La risposta ce la da il nostro chimico, ed è, penso, il suggello finale di tutto lo scritto. La verità è, fortunatamente per tutti noi, nella “Citizen Commission on Human Right (un'associazione statunitense gemella del CCDU – Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani) che fa luce sulle nefandezze prodotte dagli psicofarmaci” che altro non è che una appendice della chiesa di Scientology che ha nel suo credo la negazione dell’evidenza, la negazione della utilità delle molecole ai fini terapeutici, che vanno sostituite con le procedure descritte da Dianetics. Andate a leggere cosa sono Scientology e Dianetics.

4)Domanda: Dottore , mia nonna di 84 anni dopo essere stata ricoverata in Ospedale in seguito a problemi respiratori, una volta rientrata a casa ha avuto , secondo il medico intervenuto, un paio di attacchi di panico. Ora in particolare, manifesta il bisogno di avere sempre la presenza di qualcuno vicino. Si tratta veramente di attacchi di panico? Possono insorgere anche in età così avanzata? Simona

Risposta. L'attacco di panico riconosce situazioni e fattori che possono essere considerati favorenti o scatenati. La degenza in una struttura sanitaria non può essere considerata tale, a meno che l'attacco non si manifesti in chi ha una storia positiva.
Nel caso di sua nonna bisogna tenere in considerazione alcuni elementi importanti: la grave patologia che è stata causa del ricovero si presenta con sintomi quali la dispnea, la sensazione di non respirare, la fame di aria, che vengono sempre vissuti con un profondo senso di angoscia e di morte imminente. A questo c'è da aggiungere l'età di sua nonna. Credo perciò che la paura che ora prova nonna non sia affatto ingiustificata e che avere una persona cara accanto sia il desiderio che di ognuno di noi vorrebbe si realizzasse in certi momenti della nostra vita.

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