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La Luna Nera

La Luna Nera

Interviste-e-articoli - 13 gennaio 2015 - 0 comments - BY Barbara Prampolini
LA LUNA NERA

Quasi 14 anni fa mi è cambiata la vita. In pochi minuti, la mia condizione fisica, è cambiata da totale indipendenza a totale dipendenza. Ero a scuola, frequentavo la terza media, avevo da qualche giorno un forte dolore al collo che, quella mattina, si è tramutato in una strana sensazione di svenimento. Mi sono sdraiata in infermeria e da lì non mi sono più alzata. Ho dovuto riprendere la mia vita in mano, da zero. Rinascere. Ho dovuto ricominciare a camminare, ma non con le gambe, ho dovuto riprendere ritmi che non avevo più dalla nascita...insomma, ho dovuto ricreare un equilibrio con la nuova vita. Una vita che, in realtà, non accettavo e non volevo. Non solo mentalmente ma anche fisicamente. Dopo poco, insieme a questo problema, che viene definito come mielite trasversa acuta non accertata, è sorta la luna nera dell'ansia, del panico. Da subito, dunque, con una psichiatra, ho stabilito una terapia farmacologica che mi aiutasse a stare più tranquilla e cercare di vivere diversamente il tutto. Beh, posso dire che molte volte mi sono sentita molto più intrappolata da questa cosa piuttosto che dal mio fisico immobile. Mi sono sentita mancare il respiro, il cuore in gola, mi sono sentita svenire più volte e morire tante altre. Mi ero chiusa in me stessa. Non volevo vedere nessuno, non volevo più uscire, non volevo fare più niente di quello che, in parte, potevo ancora fare. Non vedevo l'ora arrivasse mattina per arrivare a sera e viceversa. Mangiavo solo se avevo la mano di mia madre sulle spalle, mi sentivo più sicura, ed in quel periodo avevo la fissa di affogarmi. Mangiavo purè, yogurt e kiwi. Cercavo di far togliere, a mia madre, i semini perché pensavo che mi andassero di traverso. Durante il giorno mi facevo mettere a pochi metri da un muro, quando mia madre doveva lavorare in casa, perché avevo paura di cadere in avanti, di perdere l'equilibrio. Inizialmente, addirittura, vivevo attaccata al macchinino per provare la pressione. Sempre terrorizzata di svenire, con la mancanza di saliva in bocca, sudorazione ai mille e con la sensazione di cadere, seppur essendo seduta. Avevo letteralmente paura di morire. Si, morire. Non era più vita. Per me e per chi mi stava attorno. Avevo assunto comportamenti strani, abitudini, orari, ero molto schematica nel fare le cose e, in parte, la sono tuttora. Purtroppo, cambiare le cose quando si trova un minimo di equilibrio, spaventa sempre. Inoltre, ero diventata dipendente da alcuni farmaci, gocce in particolare.
Quando mi veniva un attacco di panico, in un luogo chiuso, scappavo. Uscivo subito. Dovevo prendere aria, dovevo far di tutto per concentrarmi su altro, mi facevo provare le pulsazioni dal polso, da chi era con me, per vedere se il cuore andava molto più veloce. Dovevo continuamente bagnarmi la bocca con un goccio d'acqua perché ero senza saliva ed, infine, prendevo le gocce. Sono arrivata al punto che, quando dovevo tornare in qualche posto dove mi era già avvenuto l'attacco di panico, prendevo ancora prima di arrivare le gocce. Cercavo di prevenire prima di curare. Cosa sbagliatissima, secondo me. Era sorta la paura dell'attacco di panico. Insomma, la paura della paura. In realtà, questa non era solo dei luoghi chiusi, ma anche dei luoghi troppo aperti, dei luoghi affollati e dei luoghi che mi ricordavano la mia "vita precedente". Non c'era qualcosa di particolare, erano le sensazioni a fare tutto. Come siamo complicati! Sono stata in cura diversi anni e sulla mia strada ho trovato persone sbagliatissime ma, alla fine, per fortuna, ha trovato una psicologa vera e propria che, oltre ai farmaci che dovevo prendere mi ha aiutata tanto. Mi ha accompagnata in questo nuovo cammino standomi accanto, cercando di aiutarmi e comprendermi. Perché sì, la comprensione, in questi casi, è molto importante. Spesso mi sono sentita non capita, tutti la facevano facile. "Cosa vuoi che sia un po' di ansia." Beh, proprio questa mi stava rovinando la vita. Ero e sono in una condizione di disabilità fisica ma essa, a confronto, non era niente rispetto al panico e all'ansia che provavo. Quella luna nera stava diventando sempre più grande. Poi, pian piano, ho affrontato la cura, guardandomi dentro, parlandone e spiegando tutto ciò che sentivo, tutto ciò che mi faceva paura, tutto quello che mi capitava. Bisogna affidarsi completamente alla persona che ci vuole aiutare. E, se posso, mi permetto di dire che non bisogna andare dal primo che si incontra. Ci sono centri e persone apposta che sanno aiutarti. Anche la volontà conta molto, comunque. Ma so solo che, quando si prova quel tipo di ansia, terrore, panico, si vede tutto nero. Non esistono sfumature colorate. Si sente la fatica di vivere, di andare avanti, di sopportare queste sensazioni fisiche che creano scompensi. Puoi anche riuscire a capire che è solo una questione mentale, che non si muore di panico, ma farà sempre paura. Finché ci sei dentro fino al collo. Piano piano trascorreva il tempo scorreva e le cose sono iniziate ad andare meglio. Avevo cominciato a mangiare senza la mano di mia madre sulla spalla, per lo più di tutto e non solo quei pochi cibi che riuscivo a mandare giù. Ho cominciato ad uscire, riuscivo a restare nei luoghi affollati molto più tempo rispetto a prima, riuscivo a non dovermi far mettere davanti ad un muro perché, per fortuna, la paura di perdere l'equilibrio e cadere in avanti era passata. Insomma, mi sentivo più autonoma. Sì, paradossalmente era così. Immobile ma autonoma. Fino a quando, due anni fa, ho mollato anche le gocce. Solo le gocce, perché la terapia stabilita con la psichiatra, sin dall'inizio, pur essendo variata nel tempo, sussiste ancora. Con le gocce, invece, sono arrivata ad un punto dove non ne potevo più. Non ne potevo più di essere dipendente da queste, Non riuscivo più a concepire il fatto che ogni volta, prima di uscire, dovevo prenderle e, alla fine, a volte, gli attacchi di panico mi venivano ugualmente. Quindi? Cosa contavano? Niente, era solo un palliativo mentale. Insomma, sono migliorata tanto. Tanto che, anche con la psicologa che mi aveva in cura, abbiamo deciso di prendere un momento di pausa dopo cinque anni. Di iniziare a fare un cammino da sola, piano piano. Ad oggi, le cose stanno andando abbastanza bene. Gli attacchi di panico sono diminuiti tantissimo anche se, dicendo la verità, c'è sempre la paura di un ritorno. Ma ho maggior consapevolezza di quello che può accadere o meno. Anche quando, spesso, la mente gioca brutti scherzi, in questo campo. Quando riesci a ridurre la luna nera, a vederla da un'altra prospettiva, tutto cambia. Bisogna tener duro, lottare, bisogna venirne fuori e, credetemi, ci si riesce.

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