Spesso sento parlare da più parti di come sia giusto affrontare il panico ed ecco che escono le “soluzioni” più disparate: dai fiori di bach, alle decennali sedute di psicoanalisi, dai gruppi di auto aiuto all’ipnosi . Nel mezzo altre mille fantasiose ricette.
Il mio pensiero, da ex impanicata grave ma da potenziale impanicata perenne ( sì perché nessuno potrà garantirci che gli attacchi non tornino almeno saltuariamente…) è molto chiaro e tutto sommato semplice.
Io sono una persona molto pratica e concreta e dei problemi mi piace trovare la soluzione più scientifica possibile e che sia anche la più logica e soprattutto di comprovata efficacia. Non solo, oltre a tutto ciò, io seguo sempre una logica stringente: devo stare bene prima possibile e liberarmi prima possibile del panico. Non sono innamorata di una “cura” piuttosto che di un’altra, non ho interessi personali a sostenere un percorso piuttosto che un altro; l’unica cosa che mi interessa per me e per chi si rivolge a me è sempre e solo una, quella già citata: stare bene , meglio prima possibile.
Le critiche fioccano perché è giusto che sia così…perché tantissime persone hanno il panico e tantissimissime persone hanno sperimentato strade diverse ,spesso senza successo, a volte con parziale successo e altre ancora con successo alternato.
Chi ha ragione?
Tutti e nessuno.
Già questo la dice lunga e pone un punto fermo su un fatto: non siamo tutti uguali benché accomunati apparentemente dal panico. Da qui, da questa fondamentale premessa ne discende una considerazione, per me un postulato: i gruppi di auto aiuto non hanno senso, i rimedi pass partout non esistono. Il panico non è l’alcolismo, la droga, ecc… Prima di tutto perché la genesi degli alcolisti e dei tossicodipendenti è diversa: questi hanno scelto ad un certo punto di bere o drogarsi ma nessuno sceglie di avere il panico e non è una differenza di poco conto…Seconda considerazione: chi soffre di panico non sempre ha solo ed esclusivamente il disturbo di panico come patologia primaria; talvolta il panico potrebbe essere un sintomo accessorio di patologie più importanti o diverse o ulteriori quindi anche per questo non si possono accomunare situazioni così complesse,delicate e soggettive. Quindi la sintesi di questa prima parte è che chi soffre di panico non è simile a nessun altro perché il suo disturbo si manifesta, nasce e si sviluppa in contesti diversi, con modalità differenti e in età variabili quindi ogni persona è da considerare un mondo a parte, un soggetto sul quale costruire un abito ( la cura) su misura. Non esistono generalizzazioni.
Perché allora ci sono persone che “guariscono” con i fiori di bach o semplicemente da sole, con la forza di volontà ( dicono loro) e altre che devono curarsi per tanti anni?
Per il motivo che riportavo innanzi: non siamo tutti uguali ma soprattutto il panico non è sempre uguale e voglio riportare un esempio che ho già scritto nel mio libro. Il mio panico, nelle varie fasi della vita ha avuto andamenti altalenanti: all’ inizio è arrivato prepotente poi apparentemente da solo se n’è andato e per anni è rimasto silente. Poi un bel giorno è ricomparso diverso e più incattivito e a quel punto sono stata io armata di gocce e pasticche e scarpette da jogging che l’ho scacciato ma non era così convinto di andarsene. E allora che differenza c’è tra la prima fase e l’ultima? La differenza è nel contesto. La differenza è in me stessa. La differenza è nella genesi di quella goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ogni panico è diverso e anche nella stessa persona muta e si sviluppa a seconda di una serie concomitante di fattori e circostanze.
Chiediamo agli altri di non sottovalutare il panico quando spesso siamo noi a banalizzarlo, a sottovalutarlo, a trattarlo come malattia di gruppo o patologia da coccolare con la meditazione, o tuffandoci in essa alla scoperta di tesori e misteri nascosti… Nessun tesoro, solo tanta sofferenza…
Io non mi propongo di convincere nessuno ma invito solo chi soffre di panico ad avere un unico obiettivo: stare bene, al top nel più breve tempo possibile. Questa è l’unica cosa che conta. Non “innamoriamoci” di una filosofia o un’altra , guardiamo al sodo, al risultato…e cerchiamo di seguire quei percorsi ormai consolidati che se anche non sono la bacchetta magica possono offrire basi concrete dalle quali partire per uscire dal tunnel.