Egregio Professor
Veronesi,
sono un uomo di
scienza come Lei, un
neurologo, che non ritiene di
avere nei confronti della
cannabis una posizione
ideologica, politica, né tanto
meno dogmatica. E questo
perché non penso sia giusto né
utile affrontare, analizzare, un
tema così delicato in modo
emotivo, passionale,
concludendo o tagliando
corto, «cannabis sì, cannabis
no». Come lei ci insegna la
scienza, per fortuna, non
procede, non progredisce per
sensazioni o stati d’animo, ma
si basa nel suo intero percorso
conoscitivo partendo dal
dubbio come metodo, per
giungere a una qualche forma
di verità seppur parziale e
provvisoria.
Anche perché come Lei ben sa,
il compito della scienza non
dovrebbe essere quello di dare
certezze assolute, definitive ma
di ridurre il più possibile le
incertezze. Non è nelle corde
della scienza, infatti, produrre
discorsi potenti in grado di
stupire, affascinare chi ascolta,
quanto piuttosto quello di
fornire dati e ricerche su cui
riflettere e ragionare. Vedo
sempre più spesso il rischio
che, anche autorevoli uomini
di scienza, che più di altri
dovrebbero rimanere ancorati
al rigore metodologico
possano, a volte, inciampare e
scambiare le proprie
conclusioni su un fatto, una
circostanza o un fenomeno per
quelle che poi si rivelano, nel
corso del tempo, solo opinioni
personali.
Sono certamente idee,
posizioni legittime, autorevoli
ma pur sempre solo e soltanto
opinioni. Ecco perché trovo la
sua posizione, più volte
espressa pubblicamente, sulla
cannabis paradossale,
irragionevole e
incomprensibile. Perché
proviene da un illustre
scienziato, che ha speso la sua
vita intera per sconfiggere il
cancro, uno dei flagelli
dell’umanità.
Mi auguro che questo suo
modo di procedere sul tema
sia soltanto una provocazione,
anche se penso che su certe
questioni bisognerebbe essere
chiari, per non correre il
rischio di essere
strumentalizzati diventando
così, suo malgrado, una sorta
di «bandiera»
dell’antiproibizionismo.
Qualora però fosse realmente
convinto delle sue posizioni,
che la portano a considerare lo
spinello una sostanza innocua,
lo considererei un clamoroso
autogol per la salute dei
giovani e per la scienza intera.
Le ricordo professore che il
«bad trip», le reazioni avverse
alla cannabis (come ad altre
più nocive sostanze), non si
concludono purtroppo in una
semplice «indigestione»,
risolvibile in un paio di giorni,
perché spesso rappresentano
il triste esordio di un lungo
calvario che spalanca le porte
alla sofferenza e ad una delle
tante forme di disagio
mentale.
La cannabis ha da lungo
tempo perso la sua innocenza
e l’aggettivo qualificativo
«leggera», che spesso
l’accompagna, è falso e
pericoloso. Vorrei invitarla nel
mio studio, per farle vedere e
ascoltare cosa può sprigionarsi
nella mente di una persona
anche dopo poche boccate
dell’ «innocente» spinello. E
mi creda, anche la cannabis ha
i suoi lati oscuri, i suoi peccati
e vedere che qualcuno voglia
frettolosamente sdoganarla
come se fosse una semplice
«tisana», mi lascia molto
perplesso e spesso indignato.
Mai, come negli ultimi anni,
ho visto crescere e di molto, il
numero degli adolescenti che
si rivolgono a me proprio
perché colpiti da attacchi di
panico e non solo, in seguito
all’uso anche occasionale di
cannabis.
Purtroppo gli attacchi di
panico non sono una scelta,
un’invenzione o un capriccio
per dispiacere o fare un
dispetto a qualcuno, ma una
malattia, che può segnare
l’intera esistenza di chi ne
soffre e la vita delle persone
che gli vivono accanto.
Rosario Sorrentino
Neurologo © RIPRODUZIONE
Corriere della Sera 19/11/2014